Il terzo tempo by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

17.

Arrivò all’ospedale tardi, trovò Anna assopita. Nel corridoio stagnava un odore di mela cotta e medicazioni. Se poteva entrare dopo le otto di sera e portare la cena a una ricoverata era grazie a una delle tante relazioni di Anna, un intreccio di cui non avrebbe mai immaginato la potenza. La figlia della sorella di una certa Beatrice era la caposala, un’infermiera robusta che sfoggiava modi camerateschi con i pazienti e un autoritarismo senza smagliature con i paramedici. Beatrice era stata prontamente avvisata della degenza di Anna. E Beatrice era “una di noi”.

Come Vicky, come Peter, come Adele, Marta, Maria, Franca, Andrea. E tanti altri di cui Costanza aveva smarrito ogni traccia. Poiché era “una di noi”, Beatrice aveva imposto a sua nipote, che si chiamava Rosa (“come Rosa Luxemburg”), di trasgredire il regolamento, di allargare le maglie delle ore di visita, di consentire quella pacifica invasione che avrebbe reso la degenza di Anna meno cupa. E Anna era importante perché Anna era ancora, in qualche modo, la donna del capo.

“Sai? Sei ancora la donna del capo,” sussurrò Costanza sedendosi accanto al letto. Poi sollevò la carta d’argento e infilò il piatto con il filetto di branzino nel piccolo forno a microonde che qualcuno aveva portato perché il cibo potesse essere riscaldato sul posto.

Nell’attesa restò a guardare il profilo affilato della malata, nitido e remoto come la curva di una collina contro il cielo in certe serate limpide di giugno.

Non la svegliò. Rimase seduta accanto al letto, in silenzio. Quando l’infermiere del turno di notte venne a dirle di andarsene gli offrì il branzino che era di nuovo freddo e se ne andò.

Non voleva ritrovarsi a casa lontana ancora dal sonno, non voleva dover conversare con Dorina che la aspettava avida di chiacchiere. Non voleva ascoltare tutti gli scenari che una sincera passione per le malattie degli altri, quasi un risarcimento per la sua vita disadorna, le ispirava senza sosta.

Decise che sarebbe andata a cena al ristorante. Da sola, come si conviene alle donne emancipate. O meglio: in compagnia di se stessa.

Era, San Mauro, un paese, eppure non era un paese, la vicinanza a Torino gli conferiva un’aura di provvisorietà, come se il tessuto sociale fosse composto da pendolari che tornavano lì soltanto per la parte inattiva della vita. Anche se il fiume e la prossimità della collina potevano suggerire qualche dolcezza, qualche seconda casa per la pigra borghesia sabauda, non era una località turistica. Piazza Vittorio Emanuele era più simile a un angolo che a una piazza. Tutto il borgo alle nove di sera sembrava essersi riversato tra il Ponte Vecchio e la gelateria Gelo Doc, lasciando sguarnito il resto del paese. Ma il ristorante La Casarola era aperto. Gliel’aveva consigliato Anna. Le aveva lodato i tomini alla piastra, il prezzo, il vino, i ravioli, l’accoglienza. Si erano ripromesse di andarci una sera, quando Anna fosse stata rilasciata, se fosse stata in forze abbastanza.

Sempre che accadesse.

C’erano soltanto tre tavoli occupati, la sala era molto più grande di quanto l’intimità della piazza prometteva, il pavimento a losanghe bianche e nere era chiassoso.

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